La nuova versione dell’art. 1129 cod. civ., come risulta dopo la modifica apportata dalla riforma della legge 220/2012, prevede una disciplina diversa rispetto al passato per quanto riguarda la durata dell’incarico dell’amministratore, ma le attuali disposizioni sollevano dubbi interpretativi che hanno finalmente trovato una prima risposta in una recente sentenza del Tribunale di Milano.

La durata dell’incarico

L’art. 1129, che regola la nomina, la revoca e gli obblighi dell’amministratore, fra le disposizioni codicistiche costituisce una di quelle maggiormente modificate dalla legge di riforma 220/2012.

Per quanto riguarda la nomina e la revoca dell’amministratore, nella sua attuale versione l’art. 1129 stabilisce (comma 10) che l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; e che l’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore.

Nella sua precedente versione l’art. 1129 stabiliva, invece, che la durata dell’incarico dell’amministratore era di un anno e che poteva essere revocato in ogni tempo dall’assemblea.

La differenza fra le due disposizioni è evidente: mentre in precedenza si faceva espressa menzione a un incarico annuale adesso si fa riferimento a un incarico che ha la durata di un anno, ma che si intende rinnovato per uguale durata.

Però risulta altrettanto evidente anche l’ambiguità della nuova formulazione: la nuova durata dell’incarico fissata in un anno (come era peraltro previsto pure in precedenza), ma che adesso “si intende rinnovato per uguale durata”, sembrerebbe indicare in realtà una durata di norma biennale dell’incarico tranne che in caso di revoca deliberata da parte dell’assemblea che può essere comunque approvata in ogni tempo, ai sensi del successivo comma 11 dell’art. 1129.

Di fatto la nuova disposizione dimostra di cercare di recepire una istanza formulata da tempo riguardo all’opportunità di mantenere l’incarico all’amministratore – salva sempre la possibilità di revocarlo, qualora l’assemblea ne ravvisi la necessità – consolidato per un periodo superiore ad un solo anno, anche in considerazione del fatto che, se, alla scadenza del primo anno di incarico non si riusciva a costituire l’assemblea oppure a raggiungere la maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore (per la quale il vecchio testo dell’art. 1136, comma 4, richiedeva sempre la maggioranza stabilita dal comma 2 dello stesso articolo costituita da un numero di voti pari alla maggioranza degli intervenuti e almeno alla metà del valore dell’edificio), l’amministratore col mandato scaduto rimaneva in situazione di “prorogatio”, con poteri quindi limitati alla sola ordinaria amministrazione, fino al momento dell’approvazione di una nuova delibera che confermasse finalmente l’incarico oppure nominasse un nuovo amministratore in sostituzione di quello precedente.

Ma l’ambigua formulazione, peraltro tipica della riforma, della nuova disciplina ha fatto sorgere il dubbio che essa, se vuole differire davvero dalla previsione precedente, possa prevedere una delle seguenti situazioni:
•che l’incarico di regola duri un anno soltanto e, alla scadenza dell’anno, l’amministratore debba essere nominato nuovamente;
•che l’incarico duri un anno con rinnovo automatico per un ulteriore secondo anno, perché l’art. 1129, comma 10, afferma adesso che l’incarico dell’amministratore «ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata»;
•che l’incarico duri un anno, ma che, per effetto della previsione del rinnovo automatico per una eguale durata annuale, possa protrarsi – anche in assenza di una delibera di conferma – addirittura da un anno all’altro, fino a una eventuale revoca dell’incarico dell’amministratore approvata dall’assemblea.

Sul punto va adesso registrata una prima decisione giurisprudenziale, secondo cui la durata in carica dell’amministratore è di due anni, salva sempre la possibilità che l’assemblea ne deliberi, prima della scadenza del secondo anno, la revoca (Trib. Milano, ord. 2-7 ottobre 2015).

La decisione milanese, che al momento costituisce l’unica pronunzia emessa finora in proposito, ha avuto origine da un ricorso per la revoca dell’amministratore proposta da un condomino sulla base, tra l’altro, del fatto che al termine del primo anno di gestione non aveva inserito all’ordine del giorno dell’assemblea il punto relativo alla nomina dell’amministratore. Sul punto il Tribunale ha rigettato l’istanza, rilevando che l’omesso inserimento all’ordine del giorno dell’assemblea della nomina dell’amministratore non comporta alcuna irregolarità, ma è conforme alla nuova disciplina sul condominio introdotta dalla legge 220/2012, la quale prevede in sostanza la durata in carica dell’amministratore per un anno tacitamente prorogabile per un altro anno, salvo delibera di revoca assunta dall’assemblea medesima. Dalla decisione del Tribunale milanese consegue che quindi la nomina dell’amministratore deve essere inserita all’ordine del giorno alla scadenza non del primo anno, ma solo del secondo anno e così in concreto la durata dell’incarico di norma risulta, nel suo complesso, biennale. Ma va sempre rammentato che permane in ogni caso il potere dell’assemblea di revocare l’amministratore prima del termine annuale o biennale del suo incarico, anche in base all’attuale disciplina.

In sostanza la durata biennale, che non è inderogabile, dell’incarico dell’amministratore deve essere intesa come una semplificazione per i condomini nella gestione condominiale e una facilitazione per l’attività dell’amministratore, il quale – in considerazione degli attuali molteplici e complessi adempimenti previsti dalla normativa condominiale post-riforma – di norma si trova nella situazione di eseguire tali adempimenti con l’aspettativa di usufruire di tale attività preparatoria per un periodo di incarico superiore al solo anno iniziale.

La conferma dell’incarico

Giunti al termine del suo periodo di gestione, l’amministratore può essere confermato oppure può essere revocato dall’assemblea.

Per la nomina o per la revoca dell’amministratore l’art. 1136, comma 4, richiede una maggioranza specifica (stabilisce che le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore … devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo, il quale fa riferimento alle deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio). Nulla si dice invece per quanto riguarda la maggioranza necessaria per la conferma dell’amministratore.

Per questo motivo in passato erano state emesse alcune decisioni di merito – in totale opposizione a un principio giurisprudenziale che era sempre stato rispettato fino a quel momento – secondo cui, per la riconferma dell’amministratore condominiale, non è necessaria la stessa maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 4, per la nomina dell’amministratore, trovando invece applicazione la maggioranza semplice disciplinata dagli (allora) art. 1136, commi 2 e 3.

Le motivazioni delle due sentenze (Trib. Roma, sent. n. 10701 del 15 maggio 2009 e Trib. Bologna 17 settembre 2009) sono quasi identiche e si basano sulla considerazione fondamentale che la delibera che ha per oggetto la nomina dell’amministratore e la delibera che ha invece per oggetto la riconferma dell’amministratore sono sottoposte a disposizioni normative diverse (sempre con riferimento alla disciplina antecedente alla riforma): l’art. 1135, n. 1, sulle competenze dell’assemblea per quanto riguarda la conferma dell’amministratore e l’art. 1136, comma 4, con la sua maggioranza qualificata per quanto riguarda la nomina dell’amministratore, che però non menziona anche la conferma.

Partendo dall’osservazione che la nomina (o la revoca) dell’amministratore sono espressamente menzionate nell’art. 1136, comma 4, mentre la conferma dell’amministratore figura solo nell’art. 1135, n. 1, il Tribunale di Roma ha tratto la conseguenza, per l’unica ipotesi della conferma dell’amministratore in carica, della sufficienza (ovviamente solo in seconda convocazione) della maggioranza ordinaria prevista dal comma 3 dell’art. 1136, rilevando che la conferma dell’amministratore in carica è fattispecie ben diversa da quella della nomina e della revoca, in quanto costituisce la rielezione dello stesso nella carica precedentemente ricoperta. A sua volta il Tribunale di Bologna, con motivazione sintetica ed essenziale come quella brevissima del Tribunale romano, ha pure ritenuto applicabile alla conferma dell’amministratore il disposto combinato dell’art. 1135, n. 1 e dell’art. 1136, commi 2 e 3, rilevando che la distinzione fra il concetto di conferma e di nomina dell’amministratore non è puramente nominalistica, dato che il primo presuppone una continuità nel rapporto fiduciario che non si riscontra nel secondo, che comporta invece una novità.

Tuttavia, come si è detto, fino alla emanazione delle due sentenze ricordate la giurisprudenza – sia di legittimità sia di merito – aveva applicato sempre il principio secondo cui anche per la riconferma dell’amministratore condominiale è necessario che la delibera raggiunga la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, comma 4, cod. civ. (Cass., sent. n. 71 del 5 gennaio 1980; Trib. Pavia 30 novembre 1985; Trib. Monza 19 febbraio 1986; Trib. Pavia 23 maggio 1988; Trib. Milano 17 giugno 1991; Cass., sent. n. 4269 del 4 maggio 1994).

Di recente però si è aggiunta una nuova pronunzia a favore dell’orientamento più innovativo, emessa oltretutto nel regime post-riforma, con cui è stato deciso che è legittima la delibera con cui viene approvata la conferma dell’amministratore con una maggioranza di soli 421 millesimi, dal momento che la conferma dell’amministratore costituisce una fattispecie diversa da quella disciplinata dal codice civile riguardo alla nomina e alla revoca, in quanto con la conferma si consolida un rapporto fiduciario già instaurato (Trib. Palermo 29 gennaio 2015).